Uno spritz con DARYO eccezionale artista, vita e curiosità partendo da POLITÔXIC

Straordinaria intervista oggi a DARYO, artista poliedrico che sta facendo incetta di consensi coi suoi lavori musicali. Recentemente impegnato nella promozione del lavoro POLITÔXIC, approfondiamo con riconoscenza l’intervista a DARYO, grati e onorati per il suo tempo e la cortesia riservataci! Scopriremo interessanti retroscena musicali e di vita, DARYO ci condividerà con quelle che sono le collaborazioni, tra le più importanti come quelle con Rubinia Comunicazione, le esperienze, e i progetti futuri. Tuffiamoci in questo mondo speciale e diamo un caloroso benvenuto a DARYO!

Com’è nata tua la passione per la musica?
Cominciai a scrivere poesie verso i dodici anni, e in adolescenza mi innamorai del Rock’n’Roll anni 70, come Led Zeppelin e Black Sabbath. Verso i 17 anni cominciai a mettere assieme le mie due passioni, soprattutto grazie ad un mio amico e compagno di scuola, bassista, che si era messo in testa che sarei dovuto essere il suo cantante. Fu grazie lui, Fester. 

Dopo scuola ci trovavamo nel solaio di casa sua, mettevamo vinili di Bowie e dei Doors, lui ci suonava sopra e io iniziavo a cantare. Non avevo mai cantato prima, non sapevo se ne fossi stato all’altezza. Fester mi somministrava delle grosse tazze d’assenzio per farmi vincere la timidezza iniziale, e la cosa funzionò.

In seguito, dopo un periodo di rodaggio, fondammo una band, assieme ad altri due ragazzi, i Junkie Souls. Le prime uscite furono abbastanza disastrate dagli abusi e dall’inesperienza. Ma poi la cosa cominciò a funzionare, seppur in un contesto provinciale, suonammo con successo in grossi festival estivi e in locali molto popolari. Avevamo un buon seguito, gente della notte, sbandati e così via. Diciamo che rappresentavamo una ribellione adolescenziale, un fastidio per le regole e per le istruzioni, e la liberazione sessuale. Già all’epoca sfoggiavo un look ambiguo e trasgressivo, cosa che in quei tempi, in Italia, non era assolutamente comune né facile.

Cosa significa e com’è nato il nome DARYO e il suo personaggio, il suo sound?

Gli anni passarono fra avventure assurde che mi portano nel Sud del Madagascar, dove vivo da dodici anni. Nel contesto francofono del luogo, il mio nome viene spesso deformato in Darió, con l’accento finale sulla o. Per cercare di risolvere il problema ho cambiato la i in y, e la cosa sembra funzionare. Anche esteticamente mi sembra sensato e mi piace così. Il mio personaggio non è costruito a tavolino, è anzi estremamente naturale e rappresenta quello che sono, molto sinceramente. Sono frutto della mia personalità modellata da esperienze di vita estreme, quindi dai miei sentimenti. 

Il suono si è evoluto nella mia testa, sposandosi con la mia voce e col mio modo di cantare, nulla è casuale. 

Penso sia molto significativo il fatto che ora pubblico come un essere singolo e non come una band. È una verità causata dal mio percorso di vita, per il quale, alla fine mi sono trovato geograficamente solo, e ho deciso di non aspettare più nessuno e di non discutere più con nessuno. Tutte le decisioni, artistiche e pratiche, sono mie ora. Questo facilita il tutto, rendendo possibile di realizzare i progetti velocemente, nel modo in cui voglio io.

Come è stato concepito il lavoro POLITÔXIC?
 “Politôxic”, beh… Negli ultimi tempi, mi piace passare del tempo alla capitale, Antananarivo, soprattutto in gennaio e febbraio, per sfuggire al calore che in quei mesi nel sud è insopportabile. Antananarivo, seppur più vicina all’equatore, si trova su un altopiano a circa 1500 metri di altitudine sul mare, e quindi è più fresca. Qui passo il tempo nella villa di un amico, Laurent, assieme a mio marito. Poi, dato che sono un animale notturno, spesso passo le notti cercando ispirazione in locali malfamati di periferia, dove succede di tutto; alcune canzoni di “Politôxic” parlano di questo contesto, vedi “Rischio Calcolato” e “A Tuo Agio”.

Nel gennaio di quest’anno Laurent mi presentò i tre musicisti che suonano nell’album, Miora, Anzara e Tony.

Proposi ai tre ragazzi alcune mie canzoni, e la cosa gli piacque. Quindi li invitai nel mio hotel a Sud per comporre e registrare il disco e così fu.

La logistica folle che rese possibile la cosa meriterebbe almeno un documentario. Tutto il materiale necessario fu trasportato in camion per mille km di strada disastrata, che separa la capitale dalla città di Tulear. Da lì poi, fu necessario trasportare il tutto con delle piroghe a vela nella notte, fino alla mia baia, luogo paradisiaco dove sono proprietario del noto Peter Pan Hotel di Anakao; di fatto il luogo è raggiungibile praticamente solo via mare, 40 km di navigazione.

Il lavoro è accompagnato da un video?

Sì, esiste un videoclip della bonus track, “For Your Precious Love”, video che ritrae anche la splendida natura del luogo e parzialmente filmato nella stiva del vascello di un amico, il gentile Diego.

Studi, gavetta, sudore e soddisfazioni… vogliamo conoscere la tua storia, tutto il suo percorso!
Come dicevo prima, musicalmente nacqui nella band Junkie Souls. Eravamo dei giovani sognatori, sicuri di raggiungere le vette del rock’n’roll. Ma non fu così, dopo qualche anno non succedeva nulla di rilevante, e finita l’adolescenza, tutto ciò che mi stava attorno era contro di me. Ero considerato un giovane sbandato e perditempo, e il mio stile di vita, per varie ragioni, non era più idoneo col mondo orribile che mi circondava, quindi me ne andai, non potevo più sopportare quel contesto che pretendeva che avrei dovuto trovare un umile posto in una società che detesto ancora oggi. Incominciai a girare il mondo alla deriva, a passare mesi ai Caraibi, la prima volta che vidi il mare tropicale ne fui folgorato. Un’immagine forte nella mia mente mi ritrae in lacrime abbracciato al mio ex all’aeroporto dell’Havana. Piangevamo all’idea di tornare sul Lago Maggiore, avevamo paura. Giurai quindi che non avrei mai più comprato un biglietto col ritorno. I Caraibi, per varie ragioni, non sono più una terra di opportunità, quindi, quando tornammo, scandagliai il pianeta Terra con Google Earth, alla ricerca del posto più lontano possibile dal sistema, dove poter creare un nuovo mondo, più giusto, a misura di umano. Il mio occhio cadde sulla remota baia di Anakao. Senza perdere tempo presi un biglietto di sola andata per il Madagascar, raggiunsi Anakao, comprai una spiaggia e cominciai a costruire il mio hotel, che in pochi anni ebbe un successo incredibile.

Le cose che mi successero non si contano, e sono racchiuse in un libro che prima o poi pubblicherò, “Oltre l’Avventura”.

Ma torniamo alla musica. Ho sempre suonato per il piacere di farlo e per l’atmosfera dei live. “Politôxic” è il primo vero lavoro che ho registrato in maniera professionale.

In questi anni in Madagascar non ho mai smesso di fare concerti e assieme ad un amico chitarrista italiano rifondai i Junkie Souls anni fa nella città di Tulear. Suonavamo in localacci malfamati del porto, con amici armati di fianco al palco, oppure sulla spiaggia di Anakao (potete vedere su YouTube, Junkie Souls, How to open a rock’n’roll concert).

Facevamo le prove a casa di un disgraziato franco-malgascio chiamato Martial, in periferia. Capitava anche di incappare in una sparatoria arrivando in sala prove. Martial si faceva pagare la sala in anticipo per comprare litri di rum locale. Quando la moglie scopriva che aveva già speso i soldi, lo rincorreva per la sala prove pestandolo con una scopa… Tutto ciò era veramente punk, senza dubbio. Gli aneddoti sono tantissimi, ma la sintesi fu che, Davide, il mio amico chitarrista, aprì una gelateria in città, e preso dal lavoro abbandonò la musica, fu la fine dei Junkies, e la nascita di Daryo.

Quali sono le tue influenze artistiche?
Fin che ero in Italia non perdevo occasione di andare a vedere i grandi del Rock’n’Roll, e spendevo i miei soldi in dischi.

Fra i tanti, ebbi la fortuna di vedere David Bowie. Ma sicuramente, l’artista che ha segnato la mia vita è Lou Reed. Quando ero un adolescente, avevo paura di vivere una vita essendo quello che sono. Vidi Lou sei volte dal vivo. Le sue canzoni sono ancora oggi come un amico intimo che mi sussurra nell’orecchio, mi diede il coraggio e la forza di diventare quello che sono oggi, me stesso.

Lou Reed non è stato solo la mia prima forte influenza artistica, ma anche un maestro di vita.

Sono stato molto influenzato anche dal suono di Billy Idol e dei suoi Generation X.

Quali sono le tue collaborazioni musicali?
Le mie collaborazioni furono tutti i ragazzi che composero i Junkie Souls nelle varie epoche e nelle varie formazioni. Sicuramente, la figura che mi aiutò più di tutte a crescere musicalmente fu il mio amico Tavo, un grande polistrumentista che nei Junkies suonava la batteria. Mi insegnò molte cose fondamentali per avere la padronanza di quello che faccio.

Attualmente qui alla capitale la scena musicale è molto stimolante. In Europa è difficile immaginare l’enorme qualità dei musicisti malgasci. Per esempio, nei concerti che stiamo facendo sono successe cose..  per esempio tre settimane fa, dopo alcune ore in sala prove per affinare lo spettacolo, giusto prima del primo concerto al centro di conferenze internazionali dell’aeroporto, Tony, il bassista, ha avuto un grave problema polmonare proprio il giorno prima. Il tipo è un duro. Ha suonato con un polmone in meno, per essere poi ricoverato e operato il giorno dopo. Impressionante.

Per le due date a seguire fu sostituito dal fratello del batterista, Manitra, che pur essendo noto per essere un gran chitarrista, fin dalla prima prova fu impeccabile al basso.

Poi Tony è tornato al suo posto. È una persona splendida e sono contento di suonare con lui, e con gli altri due. Si è creata una grande unione fra noi, mi considerano come un fratello maggiore.

E la collaborazione con Rubinia Comunicazione nel lavoro in promozione?
Fu proprio Tavo a consigliarmi di rivolgermi al Signor Riccardo Rinaldi, che ora è il mio editore e che mi ha proposto la collaborazione con Simona Cantelmi. Va tutto bene e spero che il lavoro continui in questa buona direzione.

Quali sono i contenuti che vuoi trasmettere attraverso la tua arte?
I contenuti della mia arte sono espliciti nei testi delle canzoni dell’album “Politôxic”.

Parlando di vita vissuta, di esperienze vere, porto un messaggio di libertà. Diciamo che è una riflessione sul fatto che nella vita bisogna essere se stessi, e per farlo bisogna essere liberi. La realtà che viviamo dipende molto dalle nostre scelte e non viceversa. Bisogna quindi avere il coraggio di farle queste scelte, per poter essere davvero noi stessi, anche se a volte è necessario battersi, e per farlo non bisogna avere paura.

La mia arte parla molto del mio vissuto, che penso sia un ottimo esempio di questa presa di posizione. Mi rendo conto, col tempo, che le mie esperienze di vita sono fondamentali per scrivere. Cosa scriverei se non avessi vissuto? 

Parliamo delle tue pregiate esperienze di pubblicazioni, live, concerti o concorsi?
Come dicevo prima, Politôxic è il mio primo lavoro musicale fatto in modo professionale. Per il resto, a livello di live ho maturato una grossa esperienza. Anche se non ho mai suonato nel contesto mainstream, ho fatto concerti in luoghi difficili e spesso anche pericolosi. Quindi la veridicità della mia figura artistica è forgiata da esperienze forti. Tutto questo mi ha fatto maturare una resistenza alla tensione e una calma che garantiscono la mia prestazione in ogni condizione, penso che questo sia di un’importanza fondamentale per un cantante.

Per il resto non apprezzo assolutamente le competizioni, come quelle che vanno di moda oggi in TV. Non ho mai partecipato e non parteciperò mai a cose del genere. L’arte è espressione, non competizione.

Cosa ne pensi della scena musicale italiana? E cosa cambieresti/miglioreresti?
Sono tanti anni che vivo in Africa, e sei che non torno in Italia nemmeno per fare un giro, quindi non so molto sulla scena musicale italiana odierna, inoltre non ho la televisione, non l’ho mai avuta. Quel poco che vedo da qui mi piace e allo stesso tempo mi fa sorridere. Questi ragazzi truccati che fanno successo da un momento all’altro interpretano un look che io ho da più di vent’anni. E anche se la loro musica mediamente non mi appassiona, la cosa è certamente positiva.

Oltre al lavoro in promozione quale altro brano ci consigli di ascoltare?
Il disco Politôxic raccoglie tutto il materiale che attualmente merita di essere ascoltato, a mio riguardo.

Come stai vivendo da artista e persona questo periodo del covid-19?
È stato un periodo inizialmente destabilizzante viste anche le mie attività nel business del turismo. Ma poi paradossalmente è stato grazie proprio a questa crisi che ho smesso di lavorare come un pazzo trovando il tempo finalmente di comporre e registrare questo album.

Quali sono i tuoi programmi futuri?

I miei programmi futuri… beh vivere bene soprattutto, in armonia con mio marito e con tutti i bambini che vivono e studiano nel nostro centro ad Anakao. Col nuovo anno sicuramente faremo un nuovo album, poi vorrei prima o poi passere in Europa per suonare un po’ dalle vostre parti, vedremo…


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