Moderno nasce nelle campagne romane e quando assume i panni di persona “normale” si veste da professore di filosofia. Dopo aver calcato i palchi di tutta Italia con le band Unminutodisilenzio e Io non sono Bogte (Auditorium, Circolo degli Artisti, Roxy Bar, Finale Musicultura 2014…), Moderno si rimette in gioco e nel 2017 presenta al Salotto del Monk Club il singolo Felicità, accompagnato dal movie girato all’interno di Big City Life, la nota opera di street art che ha aperto la strada alla riqualifica di numerosi quartieri della Capitale. Nello stesso anno, vince inoltre il premio Miglior Testo Banco del Mutuo Soccorso al Festival dei Castelli Romani, ricevendo parole di elogio dal Maestro Vittorio Nocenzi. Negli ultimi due anni sono stati lanciati tre singoli, che sono andati a formare la “trilogia degli amori post-moderni”: Le prime volte, 2 Soli e Non dimenticare (ft. Aku). Il primo album da solista, Storia di un occidentale, esce il 27 gennaio 2021, prodotto da Igor Pardini e Aurelio Rizzuti presso il Cubo Rosso di Roma, con la coproduzione di Valerio Smordoni (Gazzelle, Coez), Alberto Paone (Calcutta) e Tommaso Di Giulio.
Moderno, un esecutore dalle spalle larghe e possenti, oggi ci onora del suo tempo e della sua cortesia, con questa intervista. Per chi non lo conosceva, propongo di colmare la -grave- lacuna e salvare nei preferiti subito! Personalmente, aggiunto alla playlist.
Com’è nata la passione per la musica?
Ti dico subito che da piccolo non mi prendeva MTV, quindi mi accontentavo di canali secondari. Fino al liceo ho sempre ascoltato principalmente la radio, poi ho iniziato ad ascoltare emo/punk e m’innamoravo di tutte le canzoni “tristi” o sofferte. A diciassette anni ho avuto per la prima volta tra le mani un basso elettrico e una chitarra, così mi sono cimentato. Ricordo ancora le vibrazioni che mi sono arrivate da quelle prime note…
Cosa significa e com’è nato il nome “Moderno” e il suo personaggio?
Il nome “Moderno” è stato l’ultimo di una lunga serie. Inizialmente mi piaceva il suo suono, poi anche il significato che esprimeva. Racconto la società moderna e i suoi scombussolamenti emotivi e sociali. Uno storico potrebbe dirmi che non siamo più nell’età moderna; io risponderei che siamo nell’epoca del post-moderno e, viste le sue caratteristiche, preferisco tornare al moderno!
Come è stato concepito il lavoro “Storia di un occidentale”?
È nato negli anni delle mie prime esperienze d’indipendenza, il periodo del classico disagio post-adolescenziale di un giovane immerso nella frenesia cittadina, nell’individualismo diffuso e in relazioni umane “liquide”. Ho scoperto, avendo l’abitudine di analizzare la realtà tra le righe, che mi trovavo in una società in cui si ha paura di mostrare le proprie fragilità e si fa fatica a comunicare davvero con gli altri. Ci ho scritto sù un po’ di canzoni.
Com’è stato il percorso dall’esordio ad oggi?
Ho iniziato come bassista di alcune band, senza mai espormi in prima persona. A un certo punto ho sentito il bisogno di non cedere a compromessi e di proporre una visione del mondo per definizione unica e inimitabile: la mia. Così mi sono messo a cantare le mie canzoni, per la prima volta nella band Unminutodisilenzio, formazione punk con tratti hardcore. Col tempo ho trovato la mia dimensione in un sound meno aggressivo ma che fa ugualmente male…
Quali sono le influenze artistiche?
Ho iniziato ad uscire dagli ascolti radiofonici prima con il punk (dal pop punk americano a quello più genuino delle origini), poi con la scena alternativa italiana e internazionale (Radiohead, Marlene Kuntz, Verdena…). A formarmi come autore è stato sicuramente l’indie degli anni ’10 (in testa Vasco Brondi), poi negli ultimi anni ho notevolmente approfondito il cantautorato più elaborato e impegnato con radici folk (Bon Iver, Niccolò Fabi, TTMOE ecc). Avrò sicuramente dimenticato decine di nomi ugualmente importanti, ma prendilo come un primo spunto.
Quali sono le tue collaborazioni musicali?
In questo albumci sono collaborazioni importanti: oltre alla produzione di fonici bravissimi come Igor Pardini e Aurelio Rizzuti del Cubo Rosso Recordings di Roma, segnalo anche la presenza di musicisti come Valerio Smordoni (Gazzelle, Coez), Alberto Paone (Calcutta) e Tommaso Di Giulio, che mi hanno seguito nell’arrangiamento e nelle registrazioni. Nei live mi seguono invece amici che conosco da diverso tempo, bravissimi musicisti con cui c’è un rapporto ormai fraterno: Federico Sanna (Unalei), Federico Pistolesi e Diego Zaccagnini.
Quali sono i contenuti che vuoi trasmettere attraverso la musica?
Voglio suggerire una visione del mondo diversa: NO all’apparire forti per arrivare primi, SÌ al rivelarsi fragili per diventare più forti insieme. Il marketing di sé stessi ce lo portiamo dietro h24, anche nei rapporti umani e nel nostro modo di guardarci allo specchio. Nelle mie canzoni provo a dare alcuni spunti per cercare una strada nuova, nella convinzione che solo nell’Altro possiamo trovare le risposte che dentro di noi non possiamo trovare. Pure se fingiamo di essere invincibili.
Parliamo delle pregiate esperienze di live, concerti e concorsi?
Ho avuto la fortuna di suonare in contesti molto stimolanti e riconosciuti come l’Auditorium di Roma, di fronte a un pubblico che pagava il biglietto per avere il suo posto numerato in platea, il Roxy Bar davanti a Red Ronnie e locali di tutta Italia. Onestamente ho sempre preferito i catini piccoli ma colmi di calore, con pubblico fomentato sotto palco a scambiarsi gioie, dolori e sudore. Concorsi? Al momento non li ho presi seriamente in considerazione, ma chissà in futuro…
Cosa ne pensi della scena musicale italiana? E cosa cambieresti/miglioreresti?
In Italia abbiamo una notevole quantità di talenti che non sfigurerebbero nel mercato estero. È chiaro che il pop produce, come sempre, musica da intrattenimento. In questa cornice possono trovare spazio anche proposte più mature (Andrea Laszlo De Simone, Di Martino e Colapesce ecc). Darei più spazio a questi contenuti, che sono convinto riuscirebbero comunque a fare buoni numeri. Mi piace anche l’energia che sprigionano giovani come Tha Supreme, Madame, Venerus, Mara Sattei ecc. Quello che non funziona è il mondo emergente, con proposte oggettivamente di scarsa qualità che vengono spinte da realtà di scarsa qualità, creando una fossa che prima o poi risucchia anche quelli che hanno qualcosa in più da dire.
Oltre al lavoro in promozione quale altro pezzo ci consigliate di ascoltare?
Consiglio In Tronco, un vecchio pezzo a cui sono legatissimo, una sorta di manifesto dell’inquietudine giovanile e dell’eterno conflitto tra la volontà di vivere diversamente da tutti gli altri e allo stesso tempo la speranza di farcela anche a costo di corrompersi. “Non so che voglio fare della vita, non so chi voglio accanto. Spero soltanto che questo grido disperato mi porti al successo”.
Come stai vivendo da esecutore e persona questo periodo del covid-19?
Da musicista, per assurdo, l’impossibilità di fare live ti libera di un peso. Tutti abbiamo lo stesso spazio per diffondere i nostri lavori: Internet. Suonare non mi manca particolarmente, ma credo sia dovuto a questo stand by forzato. È come se ci fossimo abituati al nuovo stato di cose e quasi non ci ricordassimo di quanto era vitale suonare in giro. Vale lo stesso se usciamo dal discorso musica: tante cose, sapendo di non poterle fare per un tempo imprecisato, smetti anche di desiderarle. È una strategia inconsapevole di sopravvivenza.
Quali sono i programmi futuri?
Dovrei preparare un concorso che al momento ha la priorità e dovrebbe svolgersi prima dell’estate. Con la bella stagione spero tornerà, come l’anno scorso, anche la possibilità di fare qualche concerto e di promuovere quindi il disco. Dopodiché già nel 2022 voglio far uscire un nuovo album, molto più rappresentativo di ciò che sono diventato oggi.